La Provvidenza.

Potete stupirvi, oppure no. Pensare che sarebbe stato ovvio, oppure guardare ciò che è accaduto come una vera sorpresa. Fate voi. Io, per dovere di cronaca e di coscienza, voglio raccontarvi come prosegue la storia dei due giovani rumeni con la bambina di tre mesi, in cui sono incidentalmente incappata meno di una settimana fa. Perchè per me, da quando ho scritto quel pezzo, è successo il finimondo. Telefonate da persone che non sentivo da mesi, persone lontane che mi scrivono per contribuire alla piccola colletta che servirà a rimandare a casa i due ragazzi, dai loro genitori, e persino un’amica che mi ha portato dei completini, acquistati per la piccola Samira. Hanno ancora l’etichetta attaccata e profumano di nuovo. E d’altronde è per questo che si viene al mondo, no? Per essere uno la Provvidenza dell’altro

Partiamo dall’inizio. David, il romeno, papà della piccola di tre mesi, ci ricontatta domenica. Non ha il cellulare, perciò ci chiama da una cabina telefonica. Ci dice che la signora che abitava accanto alla casa abbandonata li ha mandati via, per paura di un’incursione da parte della polizia.
Sono arrivati in stazione a Bergamo, e ora cercano un riparo.
“E la bambina?” chiedo.
“E’ qui con noi”
Io guardo l’orologio. Sono le undici di mattina.
“Dove avete dormito in queste due notti?” continuo.
“Nella casa abbandonata. Quella senza i vetri”.
Guardo Devid che è lì con me, ad ascoltare la telefonata.
“Questa sera parte un pulmino per la Romania – mi spiega il ragazzo -. Se lei riuscisse a darmi i soldi per partire…”
Io mi irrigidisco.
“No – rispondo -. Non riesco a darti i soldi oggi. Sono tanti e anche se ho attivato i miei amici, devi darmi il tempo di aiutarti. Oggi incontro un’assistente sociale, parlerò con lei per conoscere le strade da percorrere, ma non metterti fretta. Ti aiuterò a partire, ma voglio almeno una settimana di tempo per risolvere la cosa”.
“Ma non so dove dormire…”
“Sicuramente troviamo un riparo per questa notte” lo rassicuro.
“Per tutti e tre?”
“Certo, per tutti e tre. E… David…”
“Sì?”
“Voglio conoscere l’uomo che vi porterà in Romania. Lo voglio lì con te, perchè devo parlarci”.
Come ho fatto con il latte, con la casa abbandonata e la bambina, perseguo nella verifica dei fatti.
Propongo di incontrarci alle diciotto in stazione. Lui mi chiede di vederci almeno un’ora prima, perchè ha troppo freddo. “Va bene!” dico e penso che in realtà vorrei essere lì molto prima per portare un aiuto. Ma voglio parlare con Monica, l’assistente sociale che può aiutarmi a capire, per non farmi guidare solo dal cuore, ma anche (e soprattutto) dalla testa.

Alle tre e mezza incontro Monica in un caffè. È una donna grintosa, che arriva con passo deciso e lo sguardo attento. Indossa un cappotto scuro ed una sciarpa viola, che contrasta con la tinta arancione dei capelli, evidenziando il colore chiaro degli occhi. Fuori fa un freddo glaciale e quando la intravedo dai vetri del bar noto che dalle sue labbra sottili escono nuvolette di vapore.
“Certo che non ti fai mancare niente tu!” mi dice, sorridendomi.
Io contraccambio il sorriso, mentre le racconto gli ultimi sviluppi della storia.
Parliamo del più e del meno, della Caritas, di don Fausto Resmini e di tutto ciò che può aiutare questa piccola famiglia. Non è per niente facile, ma insieme continuiamo a parlare in cerca di una soluzione. Mi fa domande mirate, cerca di capire la condizione reale dei due ragazzi, ma io non le sono di grande aiuto. Alla fine decidiamo la strada che ci sembra migliore, e poi ci salutiamo con la promessa di risentirci non appena avrò visto i due ragazzi. “Un ultimo consiglio – mi dice Monica -. Non mostrarti troppo morbida. Sono disperati, ma noi dobbiamo aiutarli con intelligenza”.
Intanto l’orologio del bar segna le 16.40. Con Devid mi dirigo alla volta della stazione di Bergamo.

Alle cinque riceviamo una telefonata da un cellulare.
“Pronto?”
“Buongiorno signora, sono Nelo. Il ragazzo che porterà David e la sua famiglia in Romania. Siamo qui in stazione”.
“Bene! Due minuti e siamo lì”
Quando incontriamo Nelo e David notiamo che non c’è traccia della piccolina, né della moglie del romeno.
“Dove sono?” domando.
“Sono a casa mia – risponde il Nelo -. Li ho visti che giravano per la stazione, io sono qui a cercare clienti da portare in Romania. Questa sera partiamo e in attesa ho chiesto a mia moglie di tenere in casa la bimba e la ragazza”.
Io guardo David con lo sguardo fermo.
“Ti ho detto che questa sera non ho i soldi per farti partire. Te l’ho detto questa mattina. Perchè insisti?”
“Perchè in Romania ci sono mio padre e mia madre e io non ho un posto dove andare a dormire. Ti prego, aiutami”.
“Ti aiuteremo, ma non così” risponde Devid.
Gli illustriamo allora le possibilità per un alloggio temporaneo, dove dormire in attesa della partenza.
“Questo è quello che possiamo fare al momento. Dovrai aspettare una settimana prima di rimpatriare”.
“Ma poi mi aiuterai a tornare a casa?”
“Te lo prometto. Ma non ora, non con le tue modalità”.
Il ragazzo del pulmino allora si offre per ospitare i ragazzi fino al giorno della partenza. “Non ne sarà felice mia moglie, ma va bene. Se è solo fino a settimana prossima si può fare. Ho detto a mia moglie che se questi ragazzi li aiutano gli italiani, non possiamo tirarci indietro noi romeni”.
“Ti ringrazio” concludo rivolta verso Nelo. Prendiamo gli ultimi accordi, stabiliamo data e ora. Poi, poco prima che tutto si concluda, mi giro verso David e dico: “Tre cose: voglio una fotografia di te, bimba e moglie sotto il cartello della vostra città. Secondo. Se ti sento parlare male degli italiani, ti tiro un pugno. Terzo. Tratta male la bambina e ti spacco la faccia” dico alzando un pugno per aria.
I due romeni si guardano con gli occhi sgranati.
Poi si ode solo una voce. È Devid che, rivolto ai due ragazzi, decreta una sola, grande verità: “E’ inutile. Che siano italiane o romene, le donne devono sempre rompere le palle!”

A presto.

 

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