Dieci anni fa.

Da: Heidi Busetti
A: Paolo Ramperto
Data invio: giovedì 13 dicembre 2001
Oggetto: S. Lucia

Ho bisogno di raccontare a qualcuno come mi sento oggi, in questa giornata di neve, in cui dalla redazione ho ammirato una Bergamo che non avevo mai visto prima.
Ti avverto, ho molte cose da dire, e quindi scriverò di getto. C’è stato qualcosa di unico oggi nell’aria. Ho iniziato a lavorare per il giornale alle 11.00 di questa mattina e sono tornata a casa solo ora che è l’una di notte. Ho scritto per ben 12 ore e adesso ho ricominciato per una mail: la tua. Se non è passione questa…
Allora, andiamo per ordine… per farti capire il mio stato d’animo ho bisogno di fare due passi indietro e raccontarti cosa è successo martedì, l’11 dicembre. Quella sera ci siamo visti, tu eri appena uscito dall’oratorio con mia madre. Ricordi? Ti dissi che andavo al Byron, un locale in cui non ero mai stata. Entro in questo locale alle 23.30 e cerco il mio amico. Non lo trovo nell’immediato, in compenso noto un tipo carino appoggiato alla parete. Lui mi ferma, convinto che io sia l’amica che sta cercando il suo amico. Ma io rido e gli spiego che non sono Chiara e che mi chiamo Michela (scusa ma se mi presento con il mio vero nome passiamo la serata a parlare di cartoni animati, monti che mi sorridono e caprette che mi fanno ciao!). Lui si presenta come Daniele, e da lì iniziamo a parlare seriamente. Nasce una sintonia davvero unica. Parliamo di libri e di autori, parliamo di arte e di pittori. Parliamo del Romanticismo tedesco, di Peter Hoeg e della Scozia, Paese di cui lui è terribilmente innamorato e che io ho visitato per circa un mese. Quando guardiamo l’orologio sono già le 2.00
“Dove ti piacerebbe andare adesso?” mi chiede Daniele.
Io rispondo che vorrei essere in montagna, all’aperto, sotto un tetto di stelle. E lui afferma con noncuranza: “In montagna a quest’ora è troppo tardi. Ma se ti va dico al mio amico che mi porti a casa tu e andiamo in collina. Sempre se ti va di continuare a parlare con me”.
Non so. Forse era l’orario, forse è che percepivo prepotente il desiderio di lasciarmi andare… gli ho detto di sì, con l’unica variante del luogo: invece che andare in collina siamo saliti in Città Alta, fino alle 4.00 del mattino. Ci siamo raccontati il mondo. Ed è stato meraviglioso.
La frase che più mi ha segnato è stata quella che Daniele ha dedicato a Peter Hoeg, lo scrittore de “I quasi adatti”. “In questo libro l’autore afferma che quando assiste ad una lezione di ballo, ciò che fatica a capire non è come alcuni non riescano a stare a tempo, ma quanti riescono ad essere perfettamente sincronizzati. E chi non sta a tempo è definito un “quasi adatto”. Ecco, io mi ritengo così. I miei fuori tempo sono andare in libreria e restarci per ore, oppure il viaggiare senza troppi confini. Un giorno vivrò in un altro Paese e cambierò stile di vita. In fondo ho solo 28 anni…”
I miei identici fuori tempo.
A quel punto ho scoperto tutte le carte e mi sono presentata davvero.
“A proposito di Peter… io mi chiamo Heidi”
“Heidi?”
“Eh già…”
“Piacere Heidi. Io, invece, mi chiamo Devid”.
[…]

Dieci anni sono passati da questa mail e da allora io e Devid non ci siamo più lasciati. A gennaio ci siamo fidanzati e dopo due anni ci siamo sposati, cambiando casa, stato civile, e pure il lavoro.
Quattro anni dopo, l’undici dicembre eravamo in sala parto per vivere una delle esperienze più belle e profonde della nostra storia: la nascita di Federico, il nostro bimbo con i capelli rossi che nei tratti ha gli occhi vispi e il sorriso di Devid e il mio naso all’insù.
Auguri, amori miei.

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