La fine del Mondo.

Sono le otto e quaranta di mattina e abbiamo appena lasciato i bambini a scuola. È il 21 dicembre e dicono che oggi, proprio oggi, finirà il mondo. Per qualcuno probabilmente sarà così.
Io ho lasciato a casa il caricabatterie del cellulare e l’unica certezza che ho è che devo tornare a prenderlo. Devid si ferma davanti al cancello ed io scendo dall’automobile.
“Arrivo subito!” gli dico mentre chiudo la portiera.
Ma non è vero.
Sul marciapiede ci sono due ragazzi, marito e moglie, che chiedono del denaro per comprare il latte al loro piccolino.
Mi mostrano un biglietto, con riportato il nome del latte e il costo.
“Il pediatra ha detto che dobbiamo comprare questo latte… ma non abbiamo i soldi”
Io metto la mano in tasca e do loro delle monetine.
“Aiutaci, ti prego!” incalzano. Ma io non gli credo. Penso che sia la solita scusa per racimolare soldi, che non ci sia nessun bambino.
“Va bene – dico allora -, vi porto in farmacia e ordiniamo il latte”.
Sono già pronta a sentirmi dire che no, non c’è bisogno, basterà avere dei soldi e poi ci penseranno loro a comprare il latte, quando mi trovo davanti al sorriso di entrambi.
“Grazie! Grazie!” mi dicono.
Io sgrano gli occhi. Allora è vero?
Poi aggiustano il tiro.
“In questa farmacia però il latte che serve a noi non si trova” mi dicono indicandomi il negozio sulla piazza.
“Proviamo comunque” concludo, avviandomi scettica.
E invece hanno ragione loro. Il latte che serve è il Mellin HA ed è reperibile solo su richiesta.
“Se lo ordino arriva per le 16” dice la farmacista.
Ma i due ragazzi non possono aspettare. Mi spiegano che devono tornare a Trezzo entro le 10, perchè la vicina di casa che sta tenendo loro la bimba, deve andare al lavoro.
Decido di parlare con Devid, che intanto mi aspetta in auto, ignaro di tutto questo.
Quando torno sono passati dieci minuti. Devid è salito in casa per prendere il caricabatterie e mi aspetta con un grosso punto di domanda in testa.
Gli spiego brevemente la situazione. Gli dico che mi sembrano sinceri, e insieme decidiamo che la cosa migliore da fare è portare i due ragazzi a Trezzo, ed ordinare là il latte.

Il viaggio in macchina si rivela una scoperta su un mondo sconosciuto: i due ragazzi hanno 20 e 21 anni. Sono romeni, vivono in una casa abbandonata. Sono arrivati in Italia con l’inganno, con la promessa di un lavoro, ed hanno una bimba nata in ottobre, di soli tre mesi.
Mi raccontano che la loro vicina di casa è una persona buona, che sta cercando di aiutarli. Mi dicono che da tre giorni nutrono la bimba con acqua e zucchero, che non hanno pannolini, né vestiti a sufficienza. Mi raccontano che vivono in una casa senza vetri alle finestre e con una sola coperta.
“Io non voglio chiedere la carità – mi dice il ragazzo -. La carità la chiedono i vecchi, io sono giovane e voglio lavorare”.
Il ragazzo ha occhi scuri e profondi, che gli si illuminano quando parla di sua figlia. Dice che è orgoglioso della piccola, che gli hanno detto di buttarla, ma lui non vuole perchè come sua madre ha dato la vita a lui, lui l’ha data a questa bimba.
“Io vorrei tornare in Romania – continua -. Ma come faccio? Mi servono i soldi per il biglietto, 80 euro a testa, più 40 euro per la bambina… non ce li avrò mai se non trovo un lavoro”.
Un lavoro… gli spiego che in Italia è il periodo peggiore. Che è difficile pensare di poter trovare qualcuno che lo aiuti.
Mi chiede allora se posso dargli 27 euro per comprare una bombola, per cucinare qualcosa.
Intanto siamo arrivati ad una farmacia di Trezzo. Ordiniamo il latte e poi andiamo verso la loro “casa”.
Quando scendiamo dall’auto vediamo i due ragazzi sparire nel portone di un vecchio cascinale. Dove sono? Non li vediamo più. Poi, ad un tratto, spuntano con un fagottino in braccio. È una bimba bellissima, con il viso rotondo, vestita con un semplice dolcevita. Il giovane papà l’ha avvolta nella sua giacca per non farle sentire freddo, e a me questa scena mi sa tanto di Natale. Quel Natale che parla di un bimbo povero, nato in una mangiatoia, cullato dalle braccia di un amore materno e riscaldato dal fiato di un bue e di un asinello. Anche allora poco cibo, niente vetri alle finestre ed una povertà che diventa occasione per un riscatto, una ricchezza nuova che nulla ha a che fare con il denaro.
Io abbraccio la piccola, quel fagottino che mi ricorda che la fine del mondo arriva solo nell’istante in cui si perde la speranza. La accarezzo, la guardo con tenerezza, mentre spiego ai ragazzi che vedrò di portare vestitini e un aiuto concreto.
Nessuna fine del mondo per oggi. Di certo, al momento, c’è solo un nuovo inizio.

 

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