Un team etico per nuovi posti di lavoro nel settore del Wedding.

“Da qualche mese il Comune di Bergamo ha reso disponibili alcuni luoghi storici per la celebrazione dei matrimoni civili. Un’idea unica e vincente, che può portare molte coppie – straniere e non – a sposarsi in luoghi evocativi come il Palazzo della Ragione, il Teatro Donizetti e il Teatro Sociale, oltre alla Sala Caccia. Questo schema può essere riportato in tutta la Lombardia e in molte regioni d’Italia, che sono ricche di palazzi e dimore storiche in cui ogni matrimonio può diventare un evento immerso nella Bellezza.È proprio su questa notizia che nasce la mia idea, un progetto che coinvolge un team etico per la creazione di nuovi posti di lavoro nel campo del Wedding.

Come?

Per un evento unico ci vogliono degli operatori che siano dei veri professionisti del settore: dal fotografo, al fiorista, fino al catering.
L’idea è quella di affiancare a professionisti, precisi ed etici, alcuni giovani e padri di famiglia disoccupati, disposti ad imparare un nuovo mestiere.

Ogni qual volta i professionisti saranno contattati per un evento in una location di proprietà del Comune, dovranno rendersi disponibili a far lavorare una persona. Questo ovviamente, pagando con una cifra coerente ed etica la manodopera dei nuovi lavoratori (10 euro all’ora), impiegati nel settore della fotografia, dell’arte floreale o nel catering.

Ai Comuni è richiesto il supporto all’iniziativa attraverso una mirata campagna pubblicitaria, che promuova anche all’estero le locations e il circuito solidale, scelto da un team di esperti a cui fa capo l’ideatrice del progetto.
Ovviamente, al Comune verranno consegnate, di mese in mese, le tabelle con i nomi dei padri di famiglia disoccupati impiegati, il numero degli eventi realizzati e il salario mensile percepito di volta in volta dai nuovi occupati (pagati tramite voucher), in modo tale che si possa verificare la concretezza di questo progetto e il suo svolgersi in modo corretto ed etico. È chiaro che ad un maggiore numero di eventi corrisponderà un maggiore numero di persone impiegate.

I professionisti arruolati in questo progetto si impegnano, sotto la mia personale supervisione e sotto la supervisione del Comune di appartenenza, ad insegnare la propria professione e a pagare con coerenza ed etica il disoccupato selezionato di volta in volta.
Naturalmente sono disponibile, in qualsiasi momento, ad un incontro per spiegare il progetto nel dettaglio.

Cordiali saluti.

Heidi Busetti
Wedding Reporter”

Parte da qui il mio racconto. Da un’idea che vuole sviluppare nuovi posti di lavoro sul Patrimonio artistico italiano. L’incontro con l’assessore Moro è fissato in un giorno di gennaio 2012 in cui nevica e Bergamo è un quadro che ricorda il romanticismo tedesco.
Nello studio ci troviamo in tre: io, l’assessore e una figura femminile, una dirigente che non crede nel progetto. Non ne fa mistero, perchè manifesta il suo disappunto diverse volte.
“Assessore – dice la donna – io non credo sia una buona idea. Se il progetto andasse male, avremmo delle ripercussioni negative sull’immagine della giunta comunale!”
“Mi scusi – dico – perchè non fare un tentativo? A Bergamo abbiamo un patrimonio culturale favoloso. Città Alta è una perla, e abbiamo il terzo aeroporto nazionale a dieci minuti dal centro. Siamo favoriti culturalmente e logisticamente. Se riuscissimo a far conoscere la nostra Bellezza all’estero, a coinvolgere gli alberghi, i mezzi pubblici e tutto ciò che occorre per far funzionare questo progetto, potremmo creare diversi posti di lavoro per padri di famiglia disoccupati”.
La donna fa no con il capo, mentre sfiora continuamente con le mani la sua collana di perle.
Ma l’Assessore va dritto per la sua strada. Mi guarda, sorride e poi esclama un “A me piace!”, che illumina il mio viso. “E’ una bella idea e voglio che vada avanti!”
Al di là della scrivania io resto ancora incredula. Lo guardo con gli occhi sgranati. E’ un sì?
“Quanto potrebbero guadagnare le persone coinvolte?” mi domanda facendosi serio.
“Mah… Io credo intorno ai 100 euro al giorno… più o meno… se dovessero lavorare anche solo durante il fine settimana sarebbero 400 euro al mese… non è molto, ma per una famiglia è comunque una boccata d’aria e per una persona, un’occasione per reinventarsi”.
L’Assessore sorride.
“Va bene. Mandiamo avanti il tutto!”
A me sfugge un’occhiata alla donna seduta alla mia sinistra. Non approva e stringe le labbra in un chiaro disappunto. Io corro a casa da Devid, danzando sotto la neve.

Marzo 2012 – Mi contatta Angela Marcella, responsabile dei Servizi Anagrafici. Mi informa che l’idea sta procedendo, che ha steso il documento da presentare in giunta. Lei sarà l’unica, in tutto questo percorso, a credere come me nel progetto.
“Come vuole chiamare questo progetto?” mi chiede.
“Bergamo città del Wedding. Se ci rivolgiamo all’estero, bisogna che si capisca bene il messaggio”.
“Bello! – mi dice – Ci riaggiorniamo non appena danno l’ok!”
“Va bene”. E riattacco.
Iniziano tre mesi di silenzio, durante il quale io attendo notizie mentre leggo di aziende che chiudono e famiglie sull’orlo del baratro. Quando leggo i giornali mi incazzo come una iena. Com’è possibile che con tutto questo ben di Dio noi siamo alla fame? Com’è possibile che con tutta questa bellezza, tutta questa ricchezza, noi abbiamo un debito pubblico che si allarga? Purtroppo mia madre e mio padre mi hanno dato creatività in quantità industriale e il nulla sul profilo della pazienza e della diplomazia.
Passano i giorni e il telefono non squilla. Attendo pazientemente che il nodo si sciolga, che venga deliberato il progetto. Ma niente.
A luglio vado dal macellaio per comprare della carne. Il negozio è molto piccolo e al banco della cassa, piccolo e stretto, vedo una copia de L’Eco di Bergamo. In prima pagina, scritta a caratteri cubitali, c’è una notizia che mi arresta il respiro per qualche secondo: l’assessore è indagato. Sulle piastrelle della macelleria si frantumano i miei sogni di poter dare del lavoro a delle persone.

“Ma non esiste!” dico a Devid in preda alla rabbia. “Non rinuncio a questo progetto! Ma pensa te se io non devo far nascere qualcosa di bello in questa città, un progetto per dar respiro all’Arte e dei posti di lavoro perchè il mio referente è inquisito!”
Sono arrabbiata, delusa, amareggiata.
Decido di prenderla come una prova. Penso che Lassù stanno misurando quanto ci tengo, quanto davvero voglio questo progetto. Penso che non mi arrenderò, che non lascerò che tutto vada alla deriva. E quando metto le energie di questo pensiero così deciso nell’aria, arriva una telefonata.
“Sono Angela Marcella. La giunta ha dato l’ok al progetto!”
Ma com’è possibile? Chiedo. E il problema dell’assessore? Nessun problema, mi conferma lei. Perchè la giunta ha deliberato il progetto qualche giorno prima che l’assessore venisse inquisito.
“C’è solo una piccola modifica – aggiunge la responsabile dei servizi anagrafici -. Hanno rinominato il progetto “Bergamo città del Sì lo voglio!”
Sì lo voglio? Mi fermo un istante, poi scoppio a ridere. “Sì lo voglio? – dico – Siamo alla pornografia…” e continuo a ridere. “Cioè, noi ci rivolgiamo all’estero come “Bergamo, città del Sì lo voglio?”
Rido così tanto che ho le lacrime.
Evidentemente, qualcuno si accorge di aver detto una castroneria, perchè venti giorni dopo ricevo un’altra telefonata che conferma il cambio del titolo. Bergamo sarà semplicemente, grazie a Dio, la città del Sì.

“E adesso? Dobbiamo andare a vedere le sale che il Comune ha messo a disposizione. Dobbiamo fotografarle, per pubblicizzarle all’estero” dico a Devid. Lui, il mio complice numero Uno, l’uomo che Qualcuno mi ha messo al fianco per darmi la forza di concretizzare sogni, sorride.
Dal volo di ritorno da Siviglia, saliamo su una Panda messa a disposizione del Comune e, accompagnati da Angela Marcella, iniziamo a mappare le location che verranno messe a disposizione per i matrimoni civili.

Saliamo in Città Alta. Macchina fotografica al collo, prendiamo l’elenco delle sale e iniziamo il nostro percorso dalla più bella: il Palazzo della Ragione.
Entriamo in punta di piedi, con calma, pronti a lasciarci affascinare da quella sala antica. Ma due secondi più tardi troviamo una biglietteria. Una biglietteria qui?
“C’è una mostra fino al 2015 – mi dice un omino -. L’Accademia Carrara è in restauro, così hanno portato qui i quadri, in attesa che torni agli antichi splendori!”
“E i matrimoni?” chiedo.
“Ah, ma non si possono mica celebrare qui. Non vede che è pieno di quadri?”
“Potrebbero sposarsi in mezzo alle opere d’arte” azzardo, tra il riso e il pianto.
“Basta che nessuno fotografi!” mi viene risposto. “Questi quadri sono tutti tutelati dal diritto d’autore”.
Alle mie spalle sento un sospiro. E’ Angela, che con la biro tira una riga sul Palazzo della Ragione.
Andiamo avanti. Visitiamo la Sala dei Giuristi e, a parte una piccolissima mostra temporanea, la cosa sembra fattibile. Poi tocca al Teatro Sociale, in cui non si può celebrare perchè c’è la stagione di prosa (così credo di aver capito). Infine, è la volta della Sala Curò.
“Non la conosco. E tu?”
Devid fa cenno di no.
Siamo curiosi. È in cittadella, una zona di Città Alta bellissima, perciò la cosa fa ben sperare. Ma quando ci aprono la porta che mostra la sala, restiamo tutti senza parole.
La Sala Curò è una grande stanza, con le pareti dipinte di giallo cromo e almeno dieci file di seggioline rosse. È la bandiera di Bergamo concretizzatasi sulla terra. È allucinante. Orribile, a mia opinione.
“Cioè, con tutte le meraviglie che abbiamo, che ne so, tipo la Chiesa sconsacrata di Sant’Agostino, noi proponiamo agli inglesi e ai tedeschi la Sala Curò?!?”
Sono basita. E alle mie spalle sento un terzo sospiro, e di nuovo una biro che traccia una riga su un nome.
Vorrei capire con che criterio sono state fatte le selezioni. Vorrei sapere perchè nel progetto non sono rientrati gioielli come il Convento di San Francesco o la Chiesa di Sant’Agostino. Perchè hanno dimenticato delle Sale preziose, di stampo medievale, e si sono invece ricordati della Sala Curò.
Non è possibile…
Ma come si fa?
Continuiamo nel giro e in breve visitiamo le ultime sale. Alcune si salvano, altre no. La scelta pare veramente fatta senza alcun criterio.

Quando mi confronto con Devid spiego il mio disappunto. Sono spiazzata.
“Ma si rendono conto che con il progetto dei matrimoni civili il Comune incamererebbe soldi senza tassare? Noi guadagneremmo sulla Bellezza, che è un bene rinnovabile! Ma come si fa?”
Devid mi ascolta. Ha sentito talmente tante volte questi discorsi, che potrebbe ripetere le mie parole a memoria. Mi appoggia, come me non capisce questo pressapochismo, questo fare le cose “perchè tanto…”
È veramente un comportamento senza senso.
E io sono in casa che continuo ad inveire.

La sorte però è dalla mia parte. E qualche settimana più tardi, arriva un articolo che illustra il progetto, accompagnato da una telefonata che mi spinge a perseverare: il Chiostro di San Francesco vuole partecipare all’iniziativa. Vittoria!

Ad ottobre si apre finalmente il bando che mira a raccogliere gli operatori che vogliano aderire al progetto etico. In cambio di una pubblicità sul sito del Comune – che gli stranieri devono visitare per conoscere i documenti necessari alla celebrazione – l’operatore dovrà acquistare presso le tabaccherie o l’INPS, 50 buoni lavoro da 10 euro cad. per un valore totale di 500 euro (se non verranno spesi, saranno rimborsati). Questi buoni serviranno a pagare le prestazioni di lavoratori disoccupati, impiegati il giorno del matrimonio, o (per es. nel caso dei fotografi), nei giorni successivi.
Un disoccupato non potrà fotografare un evento (a meno che non abbia l’attrezzatura corretta ed esperienza nel settore), ma potrà per esempio montare gli album.

Il circolo virtuoso è quello per cui, una coppia di stranieri, sposandosi civilmente a Bergamo, non solo contribuisce alle entrate del Comune, ma fa lavorare chi si impegna, a sua volta, a dare lavoro alle persone in difficoltà. Il bando scade il 10 gennaio. Se siete nel campo dei matrimoni, siete di Bergamo e soprattutto siete etici, allora potete partecipare.
Il bando è sul sito del Comune di Bergamo. Lo trovate sulla destra, in un’icona rosa con il titolo “Bergamo città del sì”

Se invece siete sindaci, assessori, politici di altre città interessati al progetto contattami alla mail heidi.busetti@gmail.com . Io credo che da qui parta la nostra rinascita. Sulla capacità di vendere, e non svendere, la nostra Bellezza.

 

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