Poesia del dolore.

Un matrimonio che termina all’una di notte ed il mio ritorno a casa lungo l’autostrada che da Modena porta a Milano. Ho vissuto tutto con così tanta energia e partecipazione che ora sono stanca. Devo fermarmi, perché è una questione di coscienza quella di non guidare quando si è troppo stanchi. Perciò, decido di sostare in uno dei prossimi autogrill che costeggiano il rettilineo, per bermi un caffè. Mi fermo al bancone e con tutta la commozione del momento, assaporo il gusto e l’aroma di un buon caffè italiano. Poi decido di scendere le scale per lavarmi il viso ed assecondare quel bisogno primario che è necessario quando si è bevuta tanta, ma tanta acqua.

Ci sono percorsi che nella vita uno fa perché li vuole fare. Altri, invece, li si intraprende perché una mano amica ci conduce dove possiamo essere utili a qualcuno, in chissà quale modo. Ecco perché ora scriverò quello che ho letto sulla parete colorata di quei bagni. Ecco perché vorrei condividere il pensiero doloroso che da un po’ mi attanaglia il cuore. Magari riuscirò ad essere utile a qualcuno, in qualche modo condividendo un breve istante che sa di guerra.

Quanti autogrill ci sono lungo il mio percorso? Dieci? Venti? Forse anche di più… eppure io sono finita proprio in quello che, ancora oggi, è riuscito a regalarmi dei momenti di tristezza senza fine portandomi in un luogo scuro quanto una notte intrisa dal pianto.

“O Dio – recitava la scritta -, ti prego fa che io riesca a trovare un uomo che mi ami davvero. E uccidi mio marito, prima che lui uccida noi”.

Ancora oggi, riscrivendola per portarla alla vostra attenzione, il cervello mi va a massa. Non riesco a rielaborare niente di buono se non del dolore gratuito. C’è di mezzo anche un bambino? Mi chiedo. Ma la risposta è ovvia. Si parla di un “noi”. E questa, che potrebbe essere una poesia del dolore, non riesce a lasciarmi in pace. Io proprio non riesco a scollarmi di dosso questo senso di impotenza che lascia una piccola madre e il suo bambino nelle mani di chi non conosce l’amore. Quella preghiera mi svuota perché odora di solitudine.
Quella preghiera mi scuote perché ha il tono sincero di chi non urla, ma chiede ascolto.
L’avrò riletta cinque volte, con il sapore del caffè amaro ancora sulla lingua.
“Oh Dio, ti prego…”
E mi accorgo che non ho armi per difenderla, poiché non la conosco.
Ci sono anime belle con un amor proprio che rasenta lo zero.
E questo è il motivo per cui ad ogni persona dico di non credere a chi la umilia. Di non cedere a chi in casa ti appende con le parole uno specchio deformante, nel quale guardarsi ogni mattina e vedersi brutti e tristi e meritevoli degli inganni del mondo. Perché solo la bellezza ci appartiene fino in fondo.
È un esercizio quotidiano quello della bellezza. Necessario affinché le nuove generazioni crescano felici di stare a questo mondo. E forse non è Dio che deve intervenire. Siamo noi, con le nostre forze e la nostra intelligenza a dover insegnare la via del rispetto, della bellezza e dell’amore.
Anche a chi, forse, ha smarrito la strada mentre tiene un piccolino tra le mani.

 

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