La sottile differenza.

Sara e Tommaso hanno i tratti del viso valorizzati da capelli scuri e due occhi che ti parlano di una profondità d’intenti davvero ammirevole. Si sono sposati a fine giugno, dopo dodici anni di fidanzamento.

Loro si appartengono in modo imprescindibile, da anni. Da quando cioè Sara ha regalato a Tommaso un anellino d’argento, sottile e preciso nel disegno rotondo, simbolo di infinito.
Quel piccolo anello Tommaso non lo ha mai sfilato dall’anulare. Fino al giorno del matrimonio.
Il gesto non ha avuto il significato che credete. L’anello non è scomparso nella tasca dello sposo per lasciar posto ad un anello ben più importante, bagnato d’oro e splendente sotto il sole di giugno. Tommaso ha scelto di donare l’anello d’argento ad una delle sorelle, per augurarle “un amore bello e puro come quello tra me e Sara”.

E allora ecco che in pochi secondi si sbriciolano davanti ai miei occhi tutte quelle figure di giornalisti e scrittori che si danno un gran da fare per dire che “l’amore non esiste”, che “dura tre anni”, che non ha senso parlare di matrimonio alle soglie del XXI secolo.
Tommaso voleva Sara con tutto il suo cuore. Desiderava sposarla perché, come ha detto durante una lettura in chiesa, voleva dire al mondo che avrebbe amato questa donna per tutta la vita. Che lei era la sua scelta, vera e profonda, lontana anni luce da chi si sposa solo per un giorno di festa o per quella paura sottile e vigliacca di rimanere solo.

Già vi vedo. Con gli occhi alzati al cielo e la voglia di dirmi che, in fondo, potevano convivere. “Tanto è la stessa cosa”. No?
Ma se davvero è la stessa cosa, allora perché non sposarsi?
Me lo sento ripetere tutti i giorni. “Sposarsi e convivere non fa differenza. In fondo, il matrimonio è solo un pezzo di carta”.

Che grande bugia.

Partiamo dal significato etimologico. Convivere significa “vivere con”.
E io, tanto per essere precisi, ho convissuto con 37 persone di sesso differente.
Essere “coniugi” invece significa “uniti sotto lo stesso giogo”. Ovvero, condividere una fatica quotidiana, giorno dopo giorno. Una fatica che deve essere necessariamente crescita e apertura.
E questo passo l’ho affrontato con una sola persona in tutta la mia vita.

Sia chiaro. Non sto dicendo che il matrimonio vale più della convivenza. Dico solo che il matrimonio e la convivenza sono diversi e devono necessariamente esserlo per avere senso d’esistere. La cosa divertente è che chi afferma la loro uguaglianza, è proprio chi non si è mai sposato. “Non abbiamo bisogno di un pezzo di carta per dichiarare il nostro amore”. In compenso poi, le coppie di fatto lottano per avere un registro in cui essere riconosciute.
E allora?

Allora voglio raccontarvi la storia di Giuditta, una mia carissima amica che ha l’umiltà nel sangue e la capacità di dire e fare cose grandi con la semplicità dei santi. Giuditta non urla, parla con voce calma, muove le mani con gentilezza e si dà da fare ogni giorno per portare a casa il pane quotidiano. Ha un bimbo di due anni e un marito che si è sposata ad agosto, senza nessun invitato, vestita con un leggero tailleur grigio e nessuna fotografia ad immortalare il giorno più importante della sua vita. Giuditta ha detto sì ad un uomo, con due semplici firme. Nessun trionfo floreale, nessuna festa in pompa magna, nessun taglio della famigerata wedding cake. Niente di niente se non due monosillabi lasciati cadere con dolcezza su un registro comunale.
“Giuditta, ma non hai qualche foto del matrimonio?” le chiedo mentre lei mi guarda con i suoi occhi scuri.
“No Heidi”
“E perché?”
“Perchè non c’erano i soldi. Ma ci volevamo sposare”.
Punto. Fine.

Quello che voglio dirvi è che troppo spesso si confonde il matrimonio con il ricevimento. “Certo che matrimonio e convivenza non sono uguali – mi ha detto un’amica -. Se dico ad uno che si è sposato che le due realtà sono la stessa cosa mi ammazza, con tutti i soldi che ha speso per sposarsi!”
Ma la festa è solo il contorno e non è la differenza che corre, a mio parere, tra matrimonio e convivenza. La differenza la fa una promessa, il dirsi così sicuri dell’altra persona che sì, la si vuole accanto per un cammino lungo tutta una vita.
E non perché la vita non ci metterà alla prova. Nessuno di noi lo può ovviamente sapere. Ma perché si è così sicuri dello spessore di questa persona che si è pronti ad affrontare la realtà con lei, come un alleato sincero, un uomo con cui combattere ogni giorno per reinventarsi la vita.
Il matrimonio è una promessa. È una scelta, che si vuole consapevolmente dichiarare. È l’essere uniti nel bene e nel male. E io, onestamente, con il matrimonio mi sono liberata come una farfalla in cielo aperto. Con il matrimonio ho scoperto quanto profonda possa essere la sintonia di una coppia. Ho sondato le profondità di un rapporto di cui base è il confronto sincero giorno dopo giorno. Ho percepito la potenzialità della dualità che fonda le basi del mondo: come il giorno e la notte, il sole e la luna, l’acqua e il fuoco, il bene e il male. Nel matrimonio ho trovato una forza sconosciuta, una solida alleanza, l’amore per la cura dell’altro. Nella parità assoluta del rapporto.

Perché dichiarare questo amore con una cerimonia? Direte voi.
Perché è bello.
Perché è un gesto di gioia in mezzo alle difficoltà del mondo.
Perché tutti noi meritiamo una persona che abbia il coraggio di compiere un gesto che, se sincero, ha bisogno di coraggio, complicità e il desiderio profondo di giocarsi fino alla fine.

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